Ho un debito e temo che il mio conto corrente possa essere aggredito da un creditore. Il rischio è quello del pignoramento. Ma ci sono dei limiti previsti dalla legge?
Vediamo se la legge mette dei paletti nel caso dei conti correnti che potremmo vederci pignorare a causa di debiti che abbiamo contratto e non abbiamo pagato.
Avere un debito e non saldarlo, è cosa nota (o almeno dovrebbe esserlo), espone al rischio di vedersi pignorare i propri beni: la casa, l’automobile e anche il conto corrente bancario. Quello che è meno noto è che la legge fissa anche i limiti delle azioni esecutive quando sono in ballo beni senza i quali la sussistenza stessa del debitore si vedrebbe mettere in pericolo.
Così ad esempio ci sono dei beni mobili non pignorabili come i vestiti, il cibo, gli elettrodomestici, l’animale da compagnia, alcuni mobili essenziali della propria abitazione. E per quel che riguarda i risparmi come funziona? Anche in questo caso la legge mette dei “paletti” da non oltrepassare? E se sì, quali conti correnti non sono soggetti a pignoramento?
Il creditore può dare un’occhiata ai risparmi del debitore?
Non è affatto scontato infatti che il debitore possa aggredire il denaro custodito in banca. In qualche caso non può proprio metterci le mani sopra. In altri invece sì, ma soltanto parzialmente.
Chi ha un credito da riscuotere e non si vede arrivare i soldi da parte del debitore si chiederà, come prima cosa, quanti soldi siano custoditi sul suo conto corrente. Ma per la legge può farlo? Sì, ma ad alcune condizioni ben precise. Per il creditore c’è la possibilità di consultare gli archivi telematici dell’Anagrafe tributaria. Ma può farlo soltanto se lo autorizza il presidente del tribunale competente per territorio. Serve dunque il via libera di un giudice per venire a conoscenza della situazione finanziaria di un altro cittadino.
E anche una volta ottenuto il nulla osta da parte del giudice, il creditore non potrà avere tutte le informazioni che desidera. Potrà conoscere, consultando gli archivi dell’Anagrafe tributaria, la banca dove il debitore ha depositato i propri risparmi. Così come potrà essere informato del numero dei suoi rapporti bancari. Ma non potrà venire a conoscenza di quanti soldi abbia a disposizione il debitore.
La quantità di denaro sul conto corrente gli resterà ignota. Di conseguenza chi vuole avviare la pratica del pignoramento deve essere consapevole che in un certo senso dovrà andare avanti “a tastoni”. Che è come dire alla cieca. Saprà al massimo che c’è un conto corrente da poter aggredire, ma non potrà sapere se c’è qualcosa da aggredire su quel conto. Ovvero se sia vuoto oppure ci siano soldi da poter pignorare.
Il conto corrente è sempre pignorabile?
Per essere più precisi: è possibile pignorare un conto in quanto tale, a meno che non risulti in rosso. In questo caso il conto non può essere aggredito. Se dunque il titolare del conto, magari perché teme di vedersi pignorare i soldi, preleva tutto il denaro che aveva depositato in banca, l’azione esecutiva andrà semplicemente a vuoto.
Ci sono poi limiti sulla natura dei soldi – ovvero sulla loro provenienza – sul conto corrente. Per esempio non sono pignorabili i conti dove si accreditano:
- la rendita di un’assicurazione sulla vita: si tratta di una prestazione che non può essere pignorata;
- pensioni di invalidità o gli assegni di accompagnamento per disabili.
Quando – e in che misura – può scattare il pignoramento di un conto
Mentre in altre circostanze si può agire per pignorare un conto corrente. Ma anche in questo caso la legge fissa alcuni paletti. Dipende però dai casi, ecco quali:
- quando il conto corrente del debitore risulta cointestato o in comunione dei beni: in questo caso il creditore può aggredire soltanto la quota appartenente al debitore, non può aggredire invece la quota del cointestatario o del coniuge;
- quando sul conto vengono accreditati stipendio o pensione: in questo caso non sono pignorabili le somme depositate che, al momento del pignoramento, non sono superiori al triplo dell’assegno sociale. Gli importi derivati dallo stipendio da lavoro dipendente o dalla pensione versati dopo l’atto di pignoramento possono essere aggrediti fino ad una quota massima pari a un quinto dell’importo.
In altre parole, la legge tutela il debitore fino a un certo punto se sul suo conto corrente arrivano gli accrediti della pensione o dello stipendio. Diversamente, a parte come abbiamo visto il caso di conti dove vengono accreditati la pensione di invalidità, l’assegno di accompagnamento o la rendita dell’assicurazione sulla vita, il creditore può pignorare la somma per saldare il credito che vanta, più un’altra somma pari alla metà del credito a copertura di eventuali spese processuali. Per fare un esempio pratico, se un correntista ha un debito pari a 40 mila euro, l’azione esecutiva può portare al pignoramento di 60 mila euro.
Mentre se parliamo di pensione o stipendio, cioè della fonte di reddito, valgono i limiti che abbiamo citato prima. Anche in questo fare un esempio pratico può aiutare.
La premessa necessaria da fare è partire dall’importo dell’assegno sociale, che per il 2022 corrisponde a 460,42 euro (si tratta di un importo, ricordiamo, soggetto a aggiornamento annuale). Calcolando il triplo dell’assegno sociale (460,42 moltiplicato per 3) arriviamo alla cifra di 1.381,26 euro. Se sul conto c’è una giacenza inferiore a 1.381,26 euro non si può fare il pignoramento.
Mettiamo invece che sul conto ci sia una giacenza di denaro pari a 7.500 euro. Ecco che a questo punto il pignoramento può scattare. Si può pignorare naturalmente la differenza tra la giacenza (7.500 euro) e il triplo dell’assegno sociale (460,42 x 3 = 1.381,26 euro). Dunque basta fare una semplice sottrazione: 7.500 – 1.381,26 = 6.118,74 euro. Ecco la somma che può essere pignorata.
In seguito, mese per mese e fino all’estinzione del debito, il creditore potrà avere dalla banca un quinto (il 20% in termini percentuali) del denaro che sarà accreditato sul conto corrente a titolo di pensione o di stipendio.
Cosa succede se è Fisco a pignorare
Va detto che questi limiti riguardano i pignoramenti da parte di un privato. Se il creditore invece dovesse essere il Fisco, le cose cambiano. In questo scattano altri limiti. Ecco quali:
- stipendi fino a 2.500 euro: pignoramento al massimo di un decimo;
- stipendi tra 2.500 euro e 5.000 euro: pignoramento al massimo di un settimo;
- stipendi superiori ai 5.000 euro: pignoramento al massimo di un quinto.